Quello dop si riconosce dalla forma a schiena di mulo

Il suo gusto deciso rispecchia la Barbagia, l’impervia e suggestiva terra sarda in cui è prodotto. Robusto, piccante, con un retrogusto pungente di fumo di legna, il “Fiore Sardo” è un formaggio a pasta dura, a denominazione Dop dal 1996 e oggi tutelato dal presidio slow food. Il suo nome deriva dal fiore di cardo, anticamente utilizzato come caglio, e dalla peonia scolpita sul fondo dei “pischeddas”, gli stampi di legno di castano in cui per lungo tempo venne riposto per la stagionatura. Oggi, al posto delle “pischeddas” e del fiore di cardo vengono utilizzati stampi di acciaio a forma di tronco-cono e caglio derivante dalle interiora di agnello, capretto e vitello da latte. 

 

Cambiamenti che non hanno scalfito sostanzialmente il metodo tradizionale di produzione, soprattutto di alcuni piccoli comuni della Barbagia. La mungitura accurata degli ovini di razza autoctona allevati allo stato brado, l’utilizzo di caglio naturale prodotto in casa, senza aggiunta di artificiali, dai casari nelle tipiche “pinette” (locali con al centro il focolare), la salamoia, la modellazione della pasta e la stagionatura non sono solo operazioni da eseguire alla perfezione per la buona riuscita del prodotto, ma fanno parte di una sapienza e caparbia insita propria del popolo sardo, di una fatica silenziosa e costante che rievoca i muli, di cui la forma del “Fiore sardo” ne ricalca la schiena. 

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