“Se alla vigilia di Natale c’è vento caldo la stagione delle lenticchie sarà buona”. Così racconta la leggenda popolare sulla lenticchia di Santo Stefano di Sessanio, un piccolo comune in provincia dell’Aquila alle pendici del Gran Sasso. 

È qui, tra i 1.200-1600 metri di altitudine, che cresce questo  legume millenario, dalla caratteristica cottura senza ammollo, data la sua particolare permeabilità. Il suo tempo di cottura è stimato intorno ai venti minuti circa. La si riconosce dalle piccole dimensioni e dal colore marrone intenso con riflessi violacei. Rinomata per il suo particolarissimo sapore, la lenticchia di Santo Stefano di Sessanio è molto utilizzata da grandi chef per piatti tradizionali o della nouvelle cousine.  

Le sue origini nell’area non sono certe, ma secondo alcune fonti già nel 998 d.C costituiva una delle principali fonti di sostentamento per la popolazione. Oggi la produzione è bassissima e rischia di scomparire, se non fosse per piccoli agricoltori, soprattutto anziani, che ancora faticosamente la coltivano, date anche le condizioni impervie del territorio.

 La recente attenzione da parte delle politiche di sviluppo regionale e locale verso la valorizzazione delle risorse e delle identità territoriali ne ha riconosciuto in tal senso l’importanza. Oggi la lenticchia di Santo Stefano di Sessanio  fa parte della rete territoriale slow foods, sostenuta dal Parco Nazionale del Gran Sasso e Monti della Laga. Si tratta di un progetto che punta a tutelarla, favorendone ed incoraggiandone la coltivazione soprattutto da parte dei giovani.

 

 

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