Toma, il formaggio dei “margari” fiore all’occhiello della tradizione casearia piemontese



Il suo nome deriva da “tomare”, ovvero la precipitazione che la caseina subisce nel latte per effetto dell’azione del caglio. La Toma, principe della tradizione casearia piemontese, cominciò ad essere prodotto, come attestano alcune fonti, nell’area alpina della regione Piemonte nel Medioevo, per poi estendersi in tutto il territorio regionale grazie al fenomeno della transumanza degli allevatori, i cosiddetti “margari”. All’epoca, era il pastus dei poveri, ovvero la piccola razione alimentare della classe meno abbiente. In alcuni testi si apprende che per via del suo sapore piccante e della consistenza grassa era a questa classe sociale molto utile, sia perché saziava con piccole quantità e sia perché ben si sostituiva alle spezie in varie pietanze. Insomma, la toma piemontese era un formaggio funzionale al fabbisogno alimentare della società di allora, ben gradito per il suo ottimo sapore dalla classe plebea, nonostante il divieto religioso di consumarlo nei cosiddetti giorni di “magro”, e dei medici che in essa individuavano fattori dell’insorgere di alcune malattie.
Certo, anche oggi, la Toma non è tra i formaggi raccomandati dai nutrizionisti, soprattutto per le diete iposodiche e per i soggetti a rischio ipertensione, ma si attesta tra i migliori d’Italia per gusto e salvaguardia delle tradizioni locali per quanto concerne la produzione. Tra i primi formaggi del nostro Paese ad ottenere il marchio DOC (nel 1982) e DOP (1986), dal 2003, la Toma piemontese gode della tutela e promozione da parte di un Consorzio omonimo riconosciuto ufficialmente a livello europeo. Ciò contribuisce a rendere noto, a livello culturale ed economico, un’antica produzione Made in Italy, oggi tra i fiori all’occhiello della nostra tradizione casearia.
Il consumo di questo antico formaggio cominciò a diffondersi in tutti gli strati sociali a partire dal Seicento. La sua produzione si diffuse, nel contempo, dalle Alpi alle pianure grazie agli allevatori torinesi. Oggi sono circa 300 le famiglie dei “margari” che ogni anno salgono, a giugno, sugli alpeggi delle valli in provincia di Cuneo e di Torino, con al seguito ben 30.000 vacche di razza piemontese, per ridiscendere poi in inverno a valle. E’ grazie a loro, alla loro tenacia e passione per un’attività che negli anni ha visto sempre meno convenienze economiche che oggi possiamo gustare in tutta la sua genuinità la Toma piemontese che altrimenti sarebbe scomparsa.